INTERVISTA CON LA MOSCA
Era proprio lì davanti a me, in tutta la sua mostruosità; mi apprestavo a iniziare l'intervista più singolare e raccapricciante della mia carriera da giornalista.
«Allora, iniziamo con la prima domanda, signora Mosca: vorrebbe illustrarmi una sua giornata tipo?». Sollevai la testa e cercai di dare una breve sbirciata al suo corpo, ma non riuscivo a mantenere lo sguardo fisso per più di pochi secondi.
«Con piacere, signorina Brittany; iniziamo» disse, strofinandosi le zampe anteriori. «Dunque, una mia giornata tipo. La mattina, come piace dire a voi umani, ha davvero l'oro in bocca. O se vogliamo essere proprio sinceri, nel mio caso ha qualcosa di molto meno raffinato dell'oro, diciamo qualcosa di un po' più sporco e che emette un forte odore».
Fermai la scrittura sul mio taccuino per darle un'occhiataccia piena di disgusto, ma non ero sicura che avesse capito il mio disappunto; con quei due occhi giganteschi che aveva, era impossibile riuscire a capire in che direzione guardasse.
«Mi conceda di essere formale e di arrivare subito al punto: le feci per me sono uno dei pasti più prelibati, così come ogni composto organico, specie se in via di decomposizione: sono tutti nutrimenti sani ed essenziali. Come le spiegavo, la mattina è un buon momento per assicurarsi il cibo migliore».
Ero sul punto di farle un'altra domanda, quando notai che si stava ancora strofinando le zampe con fare forsennato, come se si fosse rotolata dentro a delle ortiche. La parola che avevo in mente mi rimase strozzata in bocca, e rimasi a fissarla mentre si dimenava. Era seduta sulla sedia di fronte alla mia, con quei due fari enormi piantati nella testa che parevano risucchiarmi. I peli sulle zampe erano in bella vista, così come quella specie di proboscide assorbi schifezze che possedeva.
«Non può proprio farne a meno di strofinarsi?» domandai.
«Ebbene: no».
«Può dirmi il motivo per cui non riesce a smettere? Molti esseri umani pensano che quando voi muovete così tanto le zampe, sia perchè state tramando qualcosa di pericoloso, o che so, magari la conquista del mondo con il vostro esercito».
Quella di risposta tremò tutta, emettendo vibrazioni fastidiose per le mie orecchie, poi riprese a parlare.
«Avete una fantasia spinta, lo devo ammettere. No, non stiamo tentando nulla di inopportuno, semplicemente non possiamo smettere di farlo vista l'importanza che hanno per noi i peli sensori sulle zampe anteriori. Questi fungono da radar nella ricerca degli odori, fornendoci stimoli olfattivi e gustativi. Ci permettono di focalizzare quello che ci circonda e ora che ho pulito per bene i miei sensori, lo devo ammettere: lei ha davvero un buon profumo!».
Mi aveva appena fatto un complimento, ma non ci diedi importanza. I miei occhi si stavano abituando pian piano a reggere il confronto con l'intervistata e glieli lasciai addosso ancora per qualche secondo. Decisi di rimanere sull'argomento della domanda appena fatta e con aria di sfida passai alla successiva.
«A tal proposito; può spiegarmi invece come mai, quando localizzate una fonte di luce, come ad esempio una lampadina di un lampadario, iniziate a girarle intorno all'infinito? Si tratta per caso di un moto di rivoluzione e la luce in questione diventa per voi un nuovo Sole?».
Udii di nuovo quelle fragorose vibrazioni. Anche la sedia su cui era seduta la mosca si scosse, come durante un terremoto di lieve entità. Per mio grande disgusto, questa volta dalla sua bocca scese anche un'appiccicosa bava, che finì sotto alle sue zampe.
«Questa intervista sta diventando più divertente del previsto, lo ammetto. La luce, il lampadario in questo caso, è un porto sicuro, un punto di riferimento: è lontano dagli ostacoli presenti in una stanza e permette di avere un' ottima visuale generale; cosa ancora più importante, funge anche da luogo di ritrovo per le altre mosche. Lei non lo sa, ma in questo modo si incontrano tanti bei maschioni, anzi; tanti bei mosconi!».
Di nuovo quelle vibrazioni. Ora vibravano anche le ali; temendo che si potesse alzare in volo, arretrai d'istinto di qualche centimetro dalla sedia, pronta ad alzarmi, ma per fortuna non accadde nulla.
«Diciamocelo, signorina Brittany: tra femmine ci si capisce, non è vero?».
«Dunque, per concludere: abbiamo sfatato le leggende sulla luce e sullo strofinamento delle zampe, se le dicessi che lo stile di vita di voi mosche può riassumersi in questi punti : ricerca di cibo, accoppiamento, mangiare, defecare e cercare di non essere schiacciate o mangiate da un predatore, lei lo prenderebbe come veritiero?».
«Certo, può essere vero. Ma quanto appena detto riassume anche la vita comune di voi esseri umani, o sbaglio?».
All'improvviso la temperatura delle mie guance cambiò, come quando il ragazzo che ti piace ti fa un complimento inaspettato e diventi subito di un colore rosso acceso. Ma questa volta la timidezza non c'entrava nulla. Digrignai i denti e sfoderai la mia faccia da guerra: mi alzai in piedi di scatto e con un calcio allontanai la sedia.
«Brava, hai firmato la tua condanna, ma non dire che non abbia provato a darti una possibilità!».
«Svegliati, Brittany: siamo arrivati».
Aprii gli occhi e vidi mia madre che mi sorrideva. «Hai dormito per tutto il viaggio. Fatto bei sogni?».
Tra le mani avevo un bicchiere di plastica, con il fondo rivolto verso l'alto. Lo accartocciai con una mano, premendo verso il palmo dell'altra, assicurandomi per bene di non sollevarlo e permettere il passaggio dell'aria. La demolizione era finita, così come era finita la vita della mosca intrappolata all'interno.
IL MOSTRO DELLE LENZUOLA
Il nostro corpo è il frutto di un'evoluzione lenta e continua; siamo progrediti in modo tale da sviluppare quello che più è utile alla nostra sopravvivenza, anche se in alcuni casi conserviamo un retaggio del passato che per noi ora è superfluo. Basti pensare ai denti del giudizio, che abbiamo ereditato dall'antico Homo Sapiens. La loro dentatura era forte e adatta a cibo crudo e difficile da masticare. Nel corso del tempo le dimensioni della mandibola e della mascella si sono ridotte rendendo inutili questi quattro denti molari, eppure ce li ritroviamo ancora oggi tra gli ospiti indesiderati della nostra arcata dentale. Altre capacità, invece, sono rimaste invariate ma ci sono ancora utili così come sono.
La nostra evoluzione non ha ritenuto opportuno sviluppare oltremodo la vista, d'altronde la notte, da sempre, è il momento in cui possiamo dare sollievo ai nostri occhi. Penso ci sia anche dell'altro: credo che questo senso sia per noi una forma di protezione innata che abbiamo da sempre. Se guardassimo con chiarezza nel buio, potremmo scorgere il terrore che si cela nelle tenebre; molti di noi non lo sopporterebbero e posso rendervene testimonianza. Sono passati venti anni e ancora non trovo risposte per ciò che vidi quella notte.
Il dopo cena per un ragazzino di dieci anni, all'epoca, era un momento quasi sacro. Lo aspettava il divano, con la tv accesa che trasmetteva un cartone animato o qualcosa di allegro e la compagnia di qualche giocattolo. Trascorso quel poco tempo di divertimento, provvedeva ad infilarsi il pigiama, a lavarsi i denti per poi andare dritto nel lettone a farsi cullare dai migliori sogni che si possono avere.
Io non facevo eccezione, se non per il fatto che iniziavo già a farci pensieri sul domani e sul dove sarei stato o cosa avrei fatto trent'anni dopo, e avevo un nemico in comune con tutti gli altri bambini: il mostro delle lenzuola che viene a trovarti di notte.
La mia fantasia aveva pieno potere in quel periodo, ed era molto facile che rimanessi suggestionato da un'apparizione in un film di un personaggio malvagio, o da una storia dell'orrore raccontata tra ragazzi, che poi si sarebbe trasformata in un incubo più tardi; per questi motivi avevo bisogno delle mie protezioni. Le tecniche che usavo per affrontare la notte erano tre:la prima, (che a dire la verità usano ancora in molti) consisteva nel coprirsi con le lenzuola dai piedi fino al collo, senza lasciare fuori neanche un dito del piede, poichè si narrava che il mostro attaccasse le parti del corpo lasciate scoperte. La seconda era anche quella che preferivo : farmi leggere una fiaba o un breve racconto illustrato dal lieto fine. E infine, la terza: portare nel letto con me i miei peluches preferiti, due orsacchiotti bianchi, poco più grandi di una mano, che donavano al tatto una sensazione unica di morbidezza. Erano identici ma uno dei due aveva un orecchio tagliato a metà. Ricordo bene che guardare dentro ai loro occhietti di plastica era un po' come scrutare dentro l'anima, come se nascondessero qualcosa di magico. Ad uno diedi il nome di “Coccolino” mentre l'altro lo chiamai “Orso”.
Era una sera come tutte le altre quando i miei genitori mi misero a letto. Di solito sistemavo sotto al cuscino entrambi i peluches, ma quella volta misi Orso sopra a una mensola che si trovava sopra al letto di mio fratello maggiore : io e lui dormivamo a pochi metri di distanza. Pochi attimi e mi addormentai.
Il mio sonno fu interrotto e ci misi un po' a capire cosa accadde, e poco dopo tutto mi fu più chiaro: qualcosa mi aveva colpito in pieno volto. Non riuscivo ancora a comprendere cosa mi avesse svegliato ma poi, con stupore, lo sentii, lì accanto alla mia faccia; era Orso. Ne rimasi stupito, ero sicuro di averlo riposto sopra al letto di mio fratello e controllai che invece non si trattasse di Coccolino, che lo avessi spostato innavvertitamente nel sonno da sotto al cuscino? Allora con la con la mano provai a sentire se fosse ancora lì: era al suo posto. Entrambi i peluches erano nel letto con me: non poteva essere possibile.
Alcuni battiti diventarono irregolari, il cuore prese a pulsare con più forza. Era la conseguenza del timore più primordiale dell'essere umano: la paura verso l'ignoto. La ragione prevalse e provai a dare una spiegazione logica all'accaduto; che fosse caduto da sopra la mensola era impossibile, nemmeno una bufera avrebbe potuto portarlo sul mio cuscino e tutte le finestre erano chiuse. Rimaneva un'unica spiegazione: mio fratello mi aveva teso uno scherzo lanciandomi il peluche.
Controllai se fosse sveglio, provai a bisbigliare il suo nome sottovoce, ma niente, non si muoveva, stava russando e non poteva essere stato lui a svegliarmi. Un brivido mi scosse improvvisamente e l'inquietudine si impossessò della mia mente. Mi girai a pancia in su, tenendo gli occhi aperti: passò qualche minuto e pian piano questi si abituarono al buio della camera.
Ero ancora frastornato e iniziai a scrutare nelle tenebre, cominciando a scorgere i primi elementi intuibili anche nella quasi totale assenza di luce, come la sagoma della sedia vicino alla porta, con i vestiti ammucchiati sopra, e il grosso armadio. Da lì a poco identificai anche i dettagli più difficili, come alcuni giocattoli che avevo sul comodino di fronte, dal castello con i soldati ai vari dinosauri che collezionavo gelosamente. Una crepa nella tapparella chiusa faceva penetrare un’esigua quantità di luce, il quanto bastava per fare orientare il mio sguardo sugli oggetti in camera mia. Quello che vidi poco dopo fece precipitare velocemente le aspettative della notte: da inquieta era, ora, inaffrontabile.
Notai vicino alla porta una forma indistinta, una cosa estranea di quella stanza. Stropicciai per bene gli occhi, ma continuava ad essere ferma lì. Pensai di dover vomitare il cuore, talmente era diventata forte la pulsazione. Questa figura aveva l'altezza di un uomo adulto di media statura e mi parve fluttuasse da destra a sinistra, come in un ciondolamento, un movimento innaturale che non mi fece prendere nemmeno in considerazione il fatto che si potesse trattare di un intruso. Perchè mai un ladro avrebbe dovuto lanciarmi un orsacchiotto in testa mentre era intento a svaligiare casa? Con un’ultima occhiata ebbi conferma che non si trattava né di un incubo, né del frutto della mia immaginazione: mi trovavo in compagnia di una presenza misteriosa. Nell'ultimo istante di lucidità riuscii a intravedere meglio e scoprii che aveva con sé una specie di scettro o lungo bastone. Subito dopo mi girai sul fianco sinistro. Ero incapace di compiere il minimo movimento, paralizzato dalla paura. Rimasi fermo immobile per un tempo che non saprei definire, erano attimi lunghissimi e indefiniti in balia del terrore e non avevo più il coraggio né di girarmi, né di aprire gli occhi: attendevo solo che arrivasse un punto di svolta. Non riuscivo nemmeno ad avere il coraggio di emettere un grido: addosso avvertivo il sudore ghiacciato.
La mia gatta, durante il breve tempo che passai a dormire, mi raggiunse, mettendosi di fianco ai miei piedi: mi chiesi se stesse vedendo anche lei ciò che avevo visto io e sperai che non avesse suscitato le antipatie di quell'essere. “Stellina” era una gatta con problemi di sovrappeso e ogni volta che saltava giù dal letto emetteva un sonoro tonfo: ma non quella volta. Scese dal letto ma non sentii nessun rumore. Fu come se fosse stata spostata di peso e sistemata in terra. Capii, così, che quella cosa era a pochi passi da me e con la forza della disperazione, riuscii a girarmi dall'altro lato per accendere la lampada sul comodino.
Mi preparai al peggio, ma rimasi incredulo: la strana forma era svanita al comparire della luce.
“Mamma, Papà! Presto, correte, in casa c'è un ladro!”gridai subito dopo, mentre mi dirigevo a passo spedito nella stanza da letto dei miei genitori. Mio padre cominciò a perlustrare la casa, senza trovare però nessun ladro, nè segni di intrusione. Sapevo già che non sarebbe stato trovato nessuno in casa ma il mio cervello aveva bisogno di creare un diversivo per ovviare al terrore di quello che avevo appena provato. Nel frattempo quel trambusto aveva svegliato mio fratello e tirai un sospiro di sollievo quando vidi la gatta agitare la coda nel corridoio, come se nulla fosse. Rimasi poi la notte nel letto al fianco dei miei genitori, quasi del tutto insonne.
Ancora oggi mi domando che entità sia apparsa quella notte, e perchè mi avesse lanciato quel peluche. Ma il quesito fondamentale rimane: cosa voleva comunicarmi? Per sentito dire, gli animali domestici, quando avvertono le presenze maligne diventano irrequieti, cosa che quella volta però non accadde. Significa che era una presenza benigna? Mi stava svegliando con lo scopo di farmi vedere o capire qualcosa o soltanto per il gusto di farlo? Sono domande a cui non troverò mai risposta, ma una cosa è certa; è un bene che i nostri occhi ci risparmino certe visioni nelle profondità delle tenebre.
Introduzione Cancer, tratto dai cavalieri dello zodiaco.
Quanto segue è una breve narrazione della scena introduttiva di Deathmask di Cancer, villain del caso.
Rimane fondamentale l’ingresso in scena dei personaggi in generale, più nello specifico quelli di alta rilevanza, come il cattivo del racconto.
Pegasus e sirio erano al cospetto della quarta casa.
L’aria, la vegetazione, tutto ciò che li circondava, cambiò: ogni vibrazione di vita e speranza appassiva e marciva dinanzi a quella nuova lugubre atmosfera.
Appena furono dentro, una innaturale e immonda foschia li avvolse. Mentre avanzano a stenti, Il piede di Sirio sprofondò in qualcosa.
Riuscire ad ignorare quel disturbante rumore era impossibile, ma fu Pegasus che se ne accorse “ Una testa, hai appena calpestato una testa!”.
Il pavimento, tutte le pareti erano ricoperte di teste e di smorfie di sofferenza.
Poi, in mezzo a quel buio blasfemo, una potente luce fece la sua comparsa: luccichii dorati si liberarono dall’ombra.
L’armatura dorata del cavaliere di Cancer ne annunciava la scomoda presenza: la sua lenta ma elegante camminata rese i due ancora più sgomenti.
“I miei amici che sono qui per l’eternità non vedono l’ora di conoscervi, presto vi unirete a loro!” Seguirono sghignazzate diaboliche.
i due cavalieri ne erano ormai consapevoli: qualsiasi briciola di umanità aveva abbandonato quell’uomo: per sconfiggerlo avrebbero dovuto eliminare ogni sorta di scrupolo.